Grigioverde

Grigioverde

Unicorni e palle di cannone, palazzi e moli
trombe, torri e case popolari
ampi oceani pieni di lacrime
bandiere, stracci traghetti
scimitarre e sciarpe.
Ogni sogno e visione preziosi
sotto le stelle, sì, sei salita sulla scala
con il vento tra le vele
sei venuta come una cometa
hai tracciato il tuo cammino troppo in alto
troppo lontano
troppo presto
hai visto tutta la luna

Grigioverde

Sono i colori di questo periodo, per me, .

Devo ammetterlo, sto spulciando i quotidiani online per trovare le notizie che riguardano la natura. Si sta riprendendo i suoi spazi con circospezione, eppure risoluta. L’erba fra i sampietrini a Roma, per esempio. Quanta forza ci vuole per farsi spazio fra le pietre? Di sicuro molta determinazione. E voglia di vedere la luce, respirare l’aria. E lo può fare perché non viene calpestata.

Se sto facendo una facile metafora? Forse. Ma non è bello il pensiero? Le condizioni sono quelle favorevoli e il paesaggio muta, si adatta.

Le ochette che entrano nel centro commerciale, i piccioni spaesati, gli uccelli che si riavvicinano in città. Io lo trovo meraviglioso. Ho sempre sognato un posto in cui natura ed esseri umani potessero convivere. Non perché abbia un’idea di natura benevola, non come nelle fiabe; penso però che la convivenza sia possibile  e – forse, a questo punto della Storia –  necessaria. Evito di dare alla natura e agli animali pensieri umani.

Il verde si prende i suoi spazi e non ce li contende.

Ti chiederai perché abbia scelto anche il grigio.
Ebbene, la risposta è più prosaica. Sto parlando dei miei capelli. E di quelli di tantissime donne in questo momento. Da alcuni anni ho scelto di abbandonare le tinture chimiche e di provare con i colori naturali. L’idea mi piace ma ancora non sono a posto con me stessa. La domanda che mi pongo – e so che come me lo fanno molte donne – è se l’idea di una chioma che sembra naturale sia un modo per stare bene o se stiamo coprendo la naturalità vera del nostro corpo che cambia.

Premetto che per me non c’è niente di male a modificare il proprio corpo. Tatuaggi, trucco, colore capelli, perfino chirurgia estetica possono essere un mezzo per stare bene. Laddove siano scelte fatte in maniera personale, unica, applicabile solo a se stess*. Mi domando, invece, quante volte non siano la risposta a una pressione sociale, specialmente verso le donne, nel dover dimostrare meno anni, a non cedere al tempo che passa. Perché a meno di non potersi dire vintage, ogni cosa che abbia sulle spalle del tempo, viene percepita come mal funzionante, poco interessante, senza niente da dare e da dire.

Il nostro corpo è la mappa della nostra vita, è visibile, pubblica. Accettarla credo sia il gesto più rivoluzionario che si possa fare. Modificarla dopo l’accettazione, sapendo che gli interventi sono un accrescimento, una volontà di avvicinarci al nostro io più vero, una conquista non da poco.

Tolto questo, cosa rimane? Abbiamo paura dei nostri capelli che iniziano a ingrigire? Ne abbiamo paura perché non siamo pront* o perché il mondo non è capace di accettarci? I miei capelli bianchi, mescolati a quelli scuri mi sembrano come quei fili d’erba fra i sampietrini. Una natura che approfitta del fatto che io non possa acquistare l’hennè, per riprendersi ciò che era suo di diritto.

Non ci ho fatto ancora i conti, lo ammetto. Li osservo dallo specchio del bagno, questi coraggiosi ribelli e mi chiedo che ne farò di loro. Sembrerò più vecchia? Sì. (Sono più vecchia, realmente, però). Lo sono perché ho vissuto, esperito la vita. Che mi ha lasciato tracce addosso. Alcune le ho poste io stessa, come il verso di una poesia tatuata su un braccio o le cicatrici sulle ginocchia, risultato di qualche improbabile corsa su una strada non proprio adatta alla corsa, da bambina.

E guardo quelle cicatrici, e guardo le mie mani non più delicate come nei miei vent’anni e ci leggo storie. Fra i solchi ci sono fatica e strette di mano, ci sono pesi portati e carezze date. Attese in cui le stringevo fra loro e abbracci in cui le aprivo.

Il tondeggiare del mio corpo, per anni secco e deriso dai compagni delle medie, ora è l’involucro più morbido per una donna più tenera con se stessa. Forse anche un po’ indulgente (ché non è mai tardi).

Allora guardo i capelli, ascolto le altre donne che con fierezza raccontano di averci dato un taglio, letteralmente e metaforicamente. Mi chiedo che parte ho in questo. Che posizione avrò rispetto a loro, rispetto alla natura che – nonostante la nostra determinazione – è più forte di noi.

Sto parlando troppo? E in più solo di me stessa. A volte è necessario guardarsi dentro, per poter parlare e ascoltare chi si ha davanti.

Non so come sarà, da qui a un mese. Per ora sono silenziosa e attenta. E ciò basterà, per conoscermi meglio.

Intanto ho occupato il tempo ad ascoltare anche gli altri, staccando da tutto per cinque settimane e, grazie agli audiolibri e alle trasmissioni radiofoniche, sentito parole, il che per me è come il paradiso.

Nel mentre, fra Don Abbondio e Modesta Brandiforti, ho cucito. Sì perché, per me, i punti che si legano alla stoffa hanno un potere calmante e mi fanno sentire parte di un mondo che è sospeso fra questo e quello onirico e leggendario visitato da sciamani e artisti.

Il risultato sono i miei segnalibri, che ho chiamato SegnaLì e che vorrei rappresentassero il modo di leggere di chi si prende del tempo, chi assapora e gusta quegli attimi (o ore!). Se sei curios@ puoi venire a vedere di cosa si tratta.

E così le giornate passano. In ascolto e in ricezione di segnali.

L’erba che cresce, i capelli sprezzanti delle regole, il sole caldo e sornione che entra di sbieco dalla mia finestra, toccandomi lievemente il viso, ora che scrivo. Accanto a casa mia due oche, un cane, parecchie galline, qualche gallo, rondini e tortore, dei belati, lontano.

Questa quiete, accresciuta dal silenzio degli umani, mi viene trasmessa senza che io faccia nulla. Così vorrei arrivasse a te, nella tua casa, che probabilmente è in un luogo opposto al mio. Credo così tanto nel potere delle parole da essere convinta che se ti descrivo ciò che vedo dalla finestra, per un momento qui, accanto a me, potrai esserci anche tu. E così la parola erba diventa accanto a te un prato verde con api che ronzano. Se dico sole al tramonto, improvvisamente potrai sentire il calore delicato e la tua camera si tingerà di un rosso caldo e rassicurante. Se parlo di rondini sentirai anche il profumo degli alberi in fiore.

Lascia che la bellezza, anche quella che si deve fare forza fra i sampietrini, arrivi a te limpida e potente. Fa che il silenzio appaghi e il tuo universo – quello che splende, si espande, crea, dentro di te – abbia una via verso il tuo fuori. Sottile come uno stelo d’erba, ma tenace e resistente. E un po’ irriverente come quelle ochette in visita al centro commerciale!

Ti lascio con i miei soliti consigli di lettura e ascolto. Un libro che parla del corpo che cambia e cresce: Storia di un corpo di Daniel Pennac (non toccatemi Pennac! Lo adoro). Perché i nostri corpi sono i compagni di vita, sono loro a sorprenderci, proteggerci, farci qualche scherzo di cui avremmo fatto a meno; ma anche una parte separata dal nostro essere, che esploriamo, che muta e si adatta a volte o scalcia, delle altre.

Ti consiglio, inoltre, la playlist di Spotify, curata da Paolo Fresu. Da ascoltare all’ora di cena, quando il sole tramonta e ci si gusta un po’ di relax. A me piace cucinare ascoltando proprio questo genere. Ed è subito “vite che non ho mai vissuto ma che immagino di poter vivere”.

E poi… non ti stupire. Un film natalizio. In realtà era nella mia lista di Netflix da quest’inverno ma il genere teen drama non fa tanto per me e ho rimandato la visione. Quale giornata migliore che il Lunedì di Pasqua? L’ho visto e mi è piaciuto. Perché anche se utilizza alcuni stereotipi lo fa in modo delicato e convincente. Semplici storie di amicizia e amore sotto la neve. In più c’è una canzone che non ricordavo di conoscere e che ho riscoperto. Quindi ti consiglio il film, che si chiama Let it snow (ma va! Ebbene, non avanzavano titoli) e la canzone della colonna sonora. Si chiama The whole of the moon dei Waterboys, di cui hai trovato un piccolo estratto all’inizio di questa lettera. Senti, adesso dico quello che penso e buonanotte, tanto lo sai che sono una persona un po’ bizzarra. Ti va se la cantiamo insieme? Non puoi credere quanto sia liberatorio. E se non sai tutte le parole, va meglio! Sbagliare è parte del divertimento.

È tempo di saluti.
Accogli la meraviglia. Questo è il mio augurio.
E se la tua nave sta affrontando un vento contrario, tendi la mano.
Qui c’è una persona che è pronta ad afferrarla.

Alla prossima lettera,
Gabriella


Questo post nasce dalla lettera che ho inviato alle iscritte e agli iscritti della Newsletter “il mio Cuore appena in vista.” 
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