Jo March, per essere felice saresti dovuta restare sola?

Jo March - saresti dovuta restare sola

Questo post è il proseguimento ideale del precedente “Volevamo tutte essere Jo March. Ma forse ora non più”.


Nonostante sia uno dei libri più letti al mondo, mi sento di avvertire che il testo contiene anticipazioni di eventi cruciali per la storia.
Chi non avesse letto i libri “Piccole donne” “Piccole donne crescono” o visto i film, potrebbe non apprezzare che gli/le vengano svelati tali eventi.

Per essere felici bisogna rinunciare all’amore? Jo March si sposa. E noi ci sentiamo tradite da Jo March.

Louisa May Alcott non si sposò mai. A parte il piccolo flirt parigino nessuna storia a quanto pare fu così forte da indurla al matrimonio. In un’intervista disse di essersi innamorata di molte ragazze ma mai di un uomo. Vista da questo punto anche la vita di Jo March sembrerebbe prendere una piega diversa. Se la premessa non è il lesbismo (per cui la risposta alla domanda, se si debba essere sole per poter essere felici e diventare ciò che si desidera, sarebbe falsata dall’ostracismo dell’epoca – ma non solo – verso le coppie omosessuali), si aprono scenari interessanti e domande che tutte noi ci siamo poste.


Jo March sembra essere quel tipo di donna che non si sposerà mai. Non perché si comporta “come un maschiaccio” perché vediamo bene che almeno una domanda di matrimonio la rimedia (sono ironica). Ma perché sembra una donna che ama l’indipendenza, che non ha tempo per le questioni d’amore, che vede le smancerie come un ostacolo alla sua passione per la scrittura.

In effetti durante la fase finale della malattia di Beth e subito dopo la sua morte, in Jo si è operato un cambiamento che la porta a rivedere questi sentimenti e a rivalutare la vita familiare. Ne arriva anche un cambiamento nella sua scrittura e la nascita di quello che – in un gioco di scatole cinesi – sappiamo essere in qualche modo Piccole donne, essendo Jo March l’alter ego di Louisa May Alcott.


Jo ci ripensa e si sposa. Su quali siano le qualità del professor Bhaer rispetto a Laurie non è dato sapere. Io ci vedo una figura paterna che sembra sinceramente mettere l’animo ribelle di Jo in una cassapanca. Mentre con Laurie erano risate da mane a sera, con il professore si sta a sentire lezioni su lezioni. Ma se piace a Jo, contenta lei. Ha capitolato e ne prendiamo atto. Ma anche per questo ci sentiamo un po’ tradite.


Non che non ci si possa innamorare e coniugare una carriera e le proprie ambizioni con l’amore. Ci siamo sentite tradite perché sembra davvero un tirare i remi in barca e iniziare qualcosa – la scuola – che non le è mai appartenuto ma che sembra più giusto per una donna sposata. Ahi Jo, che male ci fai. Tanto valeva nemmeno sprecare tempo a provarci ma fare direttamente come Meg, prepararsi al proprio destino. Può davvero Jo March capitolare in questo modo?

Jo March e le sue sorelle nelle trasposizioni cinematografiche.

Meg, non ti vergognare perché desideri essere bella.

In effetti Meg è limpida fin dall’inizio. Desidera l’agiatezza e un marito. Avrà l’uno e non l’altra. Ma per favore, non facciamo che si deve vergognare se per una volta – e qui torniamo alla moralizzazione – desidera essere bella e corteggiata. Dopotutto, a furia di accomodare capellini, dopo aver imparato ad essere una perfetta piccola donna, dopo che la vita le ha donato la bellezza, lasciamogliela godere.

Povere, quasi sante, non si possono arrabbiare, devono donare ciò che hanno, fanno calzette per gli uomini al fronte, si dividono un paio di guanti in due. Perché vergognarsi, per una sera, come Cenerentola, di avere un bell’abito, di desiderarlo e di vedere che si è al centro dell’attenzione? Forse perché le donne devono essere modeste e timide?


Certo anche per lei, come per Jo, la storia d’amore con il professor Brooke sembra un po’ tirata per i capelli. A una donna libera sarebbe bastato? L’amore di Meg sembra il frutto di una decisione presa a tavolino e non un vero slancio affettivo. Tanto più che nella scena finale – che mi ricorda molto quella di Orgoglio e Pregiudizio, con la zia di Darcy che cerca di separare ma, senza volerlo, unisce – la presa di posizione di Meg sembra più che altro un moto d’orgoglio più che una dichiarazione d’amore. Ma va bene, anche per lei accettiamo e andiamo avanti.

E se invece rivalutassimo Amy?

La rivincita delle ragazze normali

Amy. My personal mito dell’età adulta.
Ed eccola, quella che sembrava la più smorfiosa, la meno intelligente, la più viziata (ma perché poi?) nella mia lettura da adulta del libro è diventata una splendida figura di donna che cresce. Fin da piccola Amy capisce subito che di questo mondo duro vanno comprese le regole. Ci vogliono le caramelle per farsi accettare, le compra. Si indebita, le divide con le amiche e le usa per vendicarsi di chi non è stata sincera con lei. Messa in punizione, a fine lezione, in silenzio prende le sue cose e se ne va. Testa alta, decisione presa, dito medio alz… ah no. Ma ci sarebbe stato bene. Un po’ alla Bridget Jones.

Amy desidera diventare un’artista e ci prova. Sbaglia, riprova. Pecca di ingenuità a volte, fa errori da bambina e io la amo per questo. Perché è vera, reale. Non è perfetta come Meg, non è fintamente ribelle come Jo, non è troppo buona come Beth. È reale, con tutti i difetti che si hanno in quell’ingratissima età. La voglia di farsi accettare, il bisogno di migliorare il suo vocabolario, il desiderio di avere una sicurezza economica. Perché non c’è niente di male nel desiderarla. Crescendo capirà da sola la differenza fra desiderarla e fare di tutto per averla (e sceglierà comunque un buon partito, eh).

Mi piace l’evoluzione di Amy March. Mi piace il suo fare errori e imparare da essi. Mi piace come sa cogliere le occasioni, come si sa comportare con le persone e che nonostante i disastrosi tentativi decida di continuare a dipingere.

Capitolerà anche lei. Ma finalmente con una persona che le è congeniale e questa volta non è un uomo che fa mettere “la testa a posto” a una donna ricacciandola dentro casa, ma è lei che chiaramente fa capire a Laurie che si sta comportando in maniera infantile e lo riporta sulla retta via, di nuovo in armonia con il carattere che il ragazzo ha sempre dimostrato di possedere. (Certo, sulla passione fra i due non ci metterei la mano sul fuoco. Il ragazzo, secondo me, resterà sempre innamorato di quella pazza, indipendente, combattiva Jo March).

La domanda è: perché ci siamo lasciate distogliere da un taglio di capelli e ci siamo persi la perseveranza e la testardaggine di Amy? L’unica che ottenga ciò che desidera.


Un libro femminista? Io non credo.

Non lo credo, no. Ma non è importante, perché lo sembra. Oppure lo è e io non ne ho colto l’essenza. Credo che oggi questo libro risenta troppo dell’intento iniziale e del tempo passato. Allo stesso tempo contiene preziosi spunti di sorellanza che fanno bene all’anima.

Louisa May Alcott fu femminista e se anche questo libro ad una lettura adulta mi ha fatto sentire un po’ tradita, resta una lettura che consiglierei. In effetti l’ho consigliata al mio gruppo di lettura. Le donne che lo frequentano sono per me sempre fonte di scambio di idee e capaci di offrirmi prospettive nuove. La me adulta avrebbe chiesto a Jo March un po’ più di coraggio. Ma se far sposare Jo March e rendere le lettrici dell’epoca contente, permise a Louisa May di pagare i debiti di famiglia, allora ti sostengo, sorella.


Parlo di lettrici, di bambine. Qui ora dovrò fare molta attenzione perché il tema è delicato. Generalmente penso che i libri siano patrimonio di tutt*. In questo caso particolare ho faticato io stessa a sopportare le descrizioni di cappellini, guanti, vestiti a sentire a ogni piè sospinto lezioni di buone maniere e castighi divini se non si è abbastanza brave. Non penso che possa essere appetibile per i lettori maschi. Si parla di crescita personale, di evoluzione, di famiglia, amicizia, è vero.


Stando a questo, così come possiamo leggere di giorni interi di navigazione in mare di una ciurma completamente al maschile, perché non di una famiglia di sole donne? Non è questo il punto. Il punto è che per i motivi che descrivevo prima, per questo intento educativo rivolto alle bambine, si perde purtroppo molto di quello che questa storia avrebbe potuto dare anche a eventuali lettori. Che ci sono, eh. Per fortuna. Ma che vengono scoraggiati parecchio (io stessa in certi punti ho faticato).

Mi chiedo se a un lettore possa essere utile conoscere il “mondo femminile” sotto quest’ottica. Se ci siano degli insegnamenti universali. Credo che l’unico che si salvi e che possa essere definito tale, sia l’amicizia. La profonda, reale, paritaria amicizia fra le sorelle March e Laurie. L’inclusione completa.

Nonostante Laurie sia quello che arriva dalla famiglia più ricca, è solo. Quindi le sorelle March, nonostante siano povere, sono ricche di ciò che a lui manca: la famiglia. Il loro rapporto è davvero molto bello. La cassetta delle lettere che viene usata dalle due famiglie è un potente sigillo di quest’amicizia.

Non amo distinguere i libri con “maschile” e “femminile”, non uso mai questa separazione. Eppure per Piccole donne mi sento di farlo. Non per il titolo, ma per l’essenza. E mi dispiace. Forse, ci vorrebbe una lettura ancora più matura? Fra vent’anni magari capirò meglio!

A me piacciono le parole forti, che significhino qualche cosa. - Jo March
“A me piacciono le parole forti che significhino qualcosa” – Jo March

Nelle protagoniste non vedo una crescita personale, ma un’involuzione. Un aspirare e tendere verso i propri sogni per poi ridursi a brave mogli. (Che sia un monito?) Ecco perché non lo ritengo un libro femminista. Un libro che possa aiutare le donne a comprendere che i propri sogni valgono e gli uomini a capire la natura e la bellezza delle aspirazioni femminili.

In fin dei conti, lo ammetto, Piccole donne è casa.

Be’ dopo tutte queste parole, potrebbe sembrare che io non apprezzi Piccole donne. Ma come potrei non amarlo? Piccole donne è casa. È famiglia. Il calore dell’affetto familiare sfocia in ogni pagina. Il Natale, che io adoro, viene raccontato come momento intimo e felice. La sorellanza esiste realmente fra queste sorelle che si divertono insieme, che si sostengono e superano le difficoltà facendosi forza e sostenendosi l’un l’altra.

In Piccole donne si respira l’amicizia vera. Laurie viene letteralmente salvato da queste ragazze. Incluso in una famiglia e coinvolto nei giochi e nell’intimità di un salotto che prima poteva vedere solo da una finestra, le cui tende ci si dimenticava di chiudere (un po’ come noi che leggiamo il libro e che osserviamo dal di fuori questa famiglia così armoniosa).

Piccole donne è un inno ai legami familiari. È un salotto dove arde sempre un bel fuocherello. Un divano dove un cuscino può fare da scudo finché il dolore e il dubbio passano. È una casa dove tutte noi ci siamo sentite abitanti.
In fondo, Piccole donne sono le vicine di casa che ci hanno accompagnate nella crescita e che salutiamo sempre con grande affetto, come vecchie amiche, quando le incontriamo per strada, mentre proseguiamo la nostra vita.


Per chi volesse fare un giro e approfondire visivamente, consiglio una visita alla bacheca Pinterest dove ho raccolto tante belle foto – con i relativi crediti – sulle protagoniste di questa storia e una sezione con le copertine di questo libro che è un classico letto in tutto il mondo. C’è anche Orchard House, la casa dove visse Louisa May Alcott e dove scrisse Piccole donne, usata dalla regista Greta Gerwig proprio come ambientazione per la casa delle sorelle March.

Ovviamente consiglio una bella maratona dei film che sono stati tratti da questo libro. Sia quelli più vecchi che quelli più recenti ci aiutano a capire come queste donne siano state di volta in volta rese sempre più moderne. Segno che forse il germe di un femminismo c’era, sta a noi svilupparlo.

Infine – visto che nel libro si parla tanto di abiti e cappellini – è molto interessante osservare il lavoro della costumista britannica Jacqueline Durran, che ha curato gli abiti del film di Greta Gerwig e che ha vinto l’Oscar 2020 per i migliori costumi. Jo March è finalmente vestita come le si conviene, con un piglio mascalzone e ironico. Il mio passato che quasi si incrociava con la moda mi fa sempre guardare con occhio lucido un bel lavoro di questo tipo (ma questa è un’altra storia..).

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