Volevamo tutte essere Jo March – Ma forse ora non più.

Volevamo tutte essere Jo March

Nonostante sia uno dei libri più letti al mondo, mi sento di avvertire che il testo contiene anticipazioni di eventi cruciali NELLA la storia.
Chi non avesse letto i libri “Piccole donne” e “Piccole donne crescono” o visto i film, potrebbe non apprezzare che gli/le vengano svelati tali eventi.

Ciò che sognavamo (di essere Jo March, ovviamente)

Ammettiamolo, da piccole, sia dopo la visione del film sia dopo la lettura del libro, anche se non avevamo poi quella grandissima inclinazione letteraria come lei, volevamo tutte essere Jo March. Il suo animo ribelle, tagliarsi i capelli per orgoglio, ah quanto ci ha fatto sognare! Di Jo mi piaceva l’idea di potersi comportare come i maschi, correre, non pensare all’abbigliamento, usare le parole che salgono alla bocca senza pensare di doversi auto censurare perché “non sta bene per una ragazza”.

Jo March era l’idea di libertà stessa. Il suo angolo in soffitta un luogo che ho desiderato avere per anni. Jo, ti ho amata e mi hai ispirato e di questo ti ringrazio. Ma…

Avete mai letto il libro da adulte?

Ebbene, ammetto di aver riletto il libro da adulta (a proposito, chi di voi l’ha fatto dopo i quindici anni?) e non mi sono più ritrovata in Jo. O meglio, non con quello slancio che avevo da bambina.

Questo Gennaio, ho proposto il libro Piccole Donne al mio club di Lettura per avere un bel confronto ma nel mentre ho scritto qui le mie impressioni. Ho paura che la Jo March del libro, negli anni, si sia sovrapposta nella mia mente alle Jo March cinematografiche. Che le frasi scritte in Piccole donne si siano confuse con le battute delle Piccole donne al cinema, operando una stratificazione che è rimasta amalgamata praticamente fino alla rilettura.

Ho trovato il libro molto più moralizzante di quello che ricordassi. Un continuo e pedante monito alla santità che forse poteva essere adatto all’epoca – ma c’è poi un epoca in cui sia stato giusto dire alle donne (piccole o grandi che siano) di essere sante? – ma che alla prova dei fatti secondo me non resiste al passare del tempo.

Da ciò che ho letto nelle varie biografie dell’autrice, pare che Louisa May Alcott sia stata spinta a scrivere un testo appositamente per bambine che dovevano essere “educate”, a cui si doveva propinare una sorta di “pappa pronta” facile da digerire e che non richiedesse troppo sforzo.

In effetti rileggendolo ho trovato stucchevoli e troppo forzate tutte le parti in cui si faceva riferimento al fardello che ognuno di noi deve portare – e portare col sorriso! – fino a diventare delle perfette scalatrici di montagne di dolore. Insomma, come inizio mi sembra un po’ pesantuccio, non so se una bambina potrebbe, oggi, leggere Piccole donne e convincersi che così va il mondo, taci e dona, taci e sferruzza, taci e sorridi. Chissà poi se le basterebbe sognare di essere Jo March.

A me piacciono le parole forti che significhino qualche cosa. - Jo March

La morale. Quanta!

In fondo cosa si chiede a queste giovani ragazze – ricordiamoci che Amy all’inizio della storia ha solo dodici anni – di così esagerato? È strano che io abbia difficoltà a rispondere a questa domanda. Dopo tutto non c’è niente che si possa criticare. Si chiede di essere buone, di donare e non essere egoiste. Di gioire delle piccole cose e non invidiare chi ha di più, perché ciò che è importante sono gli affetti. Io stessa penso che siano regole fondamentali per vivere bene con se stess* e con gli altri.

Ciò che di questa storia mi spinge a parlare così è che sembra non ci sia limite. La mattina di Natale alle ragazze viene chiesto di donare la loro colazione a una famiglia bisognosa. E loro lo fanno e si sentono felici di essere paragonate agli angeli. E questo gesto nobile non si può certo criticare.

Ma se penso che loro stesse soffrono di privazioni, se penso che vien chiesto loro di “amare il prossimo più che noi stessi” ecco che il mio naso inizia a prudere. E non riesco a dirlo senza sentirmi un po’ in colpa, segno forse, a dispetto di tutto, questo libro e la sua continua propensione alla “santitudine” si è radicato in me molto più di quello che pensavo!

Trovo che molti accadimenti siano messi lì quasi come nelle fiabe, moniti e spauracchi. Cappuccetto Rosso che viene mangiata dal lupo perché non ascolta la mamma, la Bella Addormentata che si punge col fuso perché è troppo curiosa. Qui Jo viene “punita” per essersi arrabbiata con Amy, vedendo la sorella quasi morire inghiottita dall’acqua gelata del lago. Beth si ammala perché le sorelle preferiscono stare a casa che andare a trovare una famiglia di persone indigenti e malate.

Amy spende tutti i suoi soldi per preparare un pranzo per delle amiche che non andranno a trovarla. Come a dire: se ti arrabbi, qualcuno potrebbe morire, e anche se non sei generosa. Se vorrai apparire resterai sola, senza soldi e delusa. La punizione per non essere sempre delle piccole donne perfette, delle “brave bambine”.

Ma davvero arrabbiarsi con una sorella che ti ha distrutto qualcosa a cui tenevi tanto, non parlandole per un pomeriggio, può causare la sua morte? Solo perché per un momento non l’hai guardata per poterle tenere il muso, proprio in quel momento zac! Si spacca il ghiaccio. E davvero desiderare ospitare le proprie amiche, spendere i propri soldi per farlo, anche volendo fare le cose in grande, è peccato?

Non voglio crederlo.


Beth, troppo buona per questo mondo (o troppo noiosa)?


Beth sembra quella che più di tutte riesce ad assimilare il concetto. Facendo della sua vita un vero e proprio modello per chi voglia aspirare al Paradiso senza nessuna sosta intermedia. Da piccola Beth mi affascinava. Ora non più. Sarà perché ci sono lati del suo carattere, la remissività e il suo donarsi agli altri, che io stessa possiedo e so che se non vengono tenuti sotto controllo si finisce per restare sopraffatti dal dolore altrui.

Da adulta Beth mi sembra non più un esempio ma un monito. Non si può essere così buoni da donare la vita per gli altri. Non in questo modo, intendo. Donare la vita come impegno verso gli altri con generosità ed empatia va bene. Donarla nel senso di morire letteralmente, no***.

  • Forse dovrei scrivere un post a riguardo, perché Beth mi ispira molte considerazioni. Chi è empatico come me, sa bene quanto sia importante porsi dei limiti. Perché da portare la cena ai vicini ad avere una bella tomba in un ridente angolo del giardino dei March è un attimo.

    Ritornando alla morale, alla dedizione, al ricorrente richiamo alla preghiera, Beth risulta talmente noiosa che quando lascia questo mondo – cioè, quello del libro – sembra che finalmente si respiri a pieni polmoni. Insomma, lo standard che poneva era troppo alto. Troppa bontà, in un personaggio solo, alza i livelli di zuccheri in una maniera che poi dà la nausea. Tanto più che negli ultimi tempi anche Jo tende a volersi “migliorare” per emularla e la narrazione perde di brio.

L’operosità, la rinuncia continua, l’assoluta mancanza di svago mi hanno fatto sentire per un attimo casa March come una piccola prigione di queste anime giovani e potenzialmente ribelli, che vengono di continuo riportate all’ovile. La nostra Jo si impone di migliorare negando a se stessa la sua anima ribelle, che è quella che più affascina le lettrici. E dai e dai, alla fine ce la fa e si plasma così tanto che ne esce fuori una donnina dolce e mansueta. Ma come? E noi che ci siamo tagliate i capelli, che faremo ora?

***Non parlo qui di gesti eroici che servono letteralmente a salvare la vita di qualcun altr*, attraverso il sacrificio personale, ma di una dedizione tale che porta ad annullarsi e a mettere sempre gli altri al primo posto prima di noi stess*.

Jo, perché ci hai tradite?

Jo ne esce bene, certo, ma non benissimo. Considerando l’opera nella sua interezza, quindi non solo Piccole donne ma anche Piccole donne crescono, che in effetti è la seconda parte della storia e la completa (in America ormai sono unite perché è riconosciuto che facciano parte di un unico corpo letterario), Jo March perde smalto, diventa remissiva, rivaluta tutto quello che per anni è stato, in pratica, ciò che ci ha illuse di poter essere lei. Le sue storie piene di fantasia, di vigore e – perché no? – di violenza, vengono viste dal caro, vecchio (ma sì ammettiamolo che è vecchio) Prof. Baher come qualcosa di cui vergognarsi.

Dice a Jo che lei è capacissima di fare di meglio (meglio che fare tanti soldi, tanti da permettere a sua sorella e sua madre di andare in vacanza? Meglio che essere indipendente, letta, pagata per ciò che fa?) scrivendo cose più consone, senza tradire la propria natura. Ora, da una come Jo March, invece, io mi aspetto una natura selvaggia, ribelle, pronta a misurarsi con bucanieri e vicoli bui.

Vedo nel gesto di Baher una sorta di protezione paternalistica che costringe Jo a “rientrare nei ranghi”. Volevamo questo da lei? Volevamo che scrivesse la storia della sua famiglia? Chiediamoci, se esistessero “Le storie di Jo”, nascoste da qualche parte, vorremmo leggere Piccole donne o storie di intrighi, assassini e pirati? Io credo la seconda.

Mi divertirebbe pensare a Jo che scrive di notte, che entra nelle biblioteche cercando metodi per uccidere, che si informa sui veleni, le armi. Una Jessica Fletcher con la crinolina, insomma. Invece Jo ci abbandona piano piano, “mette la testa a posto”, si lascia condurre da un uomo. Lei. Ci ha tradite.
E noi qui, a leggere pagine interminabili di lettere inviate dall’Europa da Amy, che ha capito tutto dalla vita. (Eh…)

Piccole donne - Libri - Sas bellas Mariposas

Louisa May, cosa ci nascondevi?

Per tornare alle storie di Jo, – che le provocavano tanto rossore – c’è da dire che la nostra Louisa May Alcott scrisse alcuni romanzi molto gotici sotto lo pseudonimo di A. M. Barnard. Storie che ebbero successo notevole. Ora, penso che sia interessante notare come “Un lungo fatale inseguimento d’amore” sia un titolo molto intrigante e perfettamente in linea con Jo. In effetti la vita di Louisa May Alcott è piena di sorprese e di intriganti retroscena.

Questo romanzo, per esempio, fu sempre rifiutato in vita perché ritenuto “troppo audace”. Eccola la nostra Jo March, ecco l’audacia, la sfrontatezza! Louisa May Alcott la gotica ci piace assai. Lousia May nacque a Germantown (Philadelphia) nel 1832. Da subito la sua vita prende una piega che possiamo definire originale anche a distanza di anni. Il padre fonda una sorta di comune chiamata Fruitlands, in Massachussets. La vita nella comune si basa su principi ecologisti che farebbero impallidire Greta Thumberg. Talmente rispettosi dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori che tutta la famiglia finì per essere malnutrita e in grave pericolo di salute.

(Ora, che sia andata male a loro, non significa che tutt* noi non dovremmo riflettere seriamente sull’argomento, ma così andò. Forse per inesperienza o forse perché ancora prima della globalizzazione ma già con il mercato in moto, era difficile riuscire a mantenere la propria morale integra e la pancia piena).


L’esperienza di Fruitland finisce e Louisa May e la sua famiglia tornano a casa, a Orhcard House – ho messo un po’ di foto molto belle di questo luogo, nella bacheca Pinterest dedicata alla scrittrice e a Piccole donne – dove Louisa May si dedica alla scrittura appassionatamente e con una dedizione e costanza che le fanno onore.

Ma le sorprese non sono finite, dopo alcuni anni si prospetta, come per Amy, un bel viaggio in Europa, e Louisa May che fa? Accetta con fervore e accompagna questa facoltosa signora in viaggio. In Svizzera pensa bene di innamorarsi di un ragazzo e – udite udite – fuggire con lui niente meno che a Parigi.
Eccola Jo March, ecco lo spirito che ci piace. Moderna, avventuriera, amante della vita e fuori dagli schemi.


Ritornata a casa e mollata la vecchietta noiosa in Europa, si dedica a risanare le sorti della famiglia. Donna di grande volontà riesce a portare la sua famiglia fuori da un brutto disastro finanziario e attraverso la pubblicazione di Piccole donne diventa indipendente. Non si sposerà mai ma scriverà libri per bambini, anche se – a quanto pare – di piccole donnine ne aveva fin sopra i capelli. Tanto da voler smettere di scrivere di loro.


Abolizionista, femminista, fervente suffragetta, la scrittrice seppe monetizzare il proprio lavoro, seppe tirar fuori dai guai la sua famiglia, lavorando indefessamente tutti i giorni e per molte ore al giorno. Questa figura di donna non traspare nella Jo che nel finale sembra la copia appassita di se stessa. Ma il tutto va contestualizzato e il pubblico a cui era destinato il libro non era forse adatto. O forse non lo erano i genitori delle piccole bambine a cui era destinato…

Mi rendo conto che non si possa chiudere qui il discorso, quindi vi rimando al secondo post, dove concludo la mia teoria. Spoiler, svelo chi è (diventata) la mia preferita! Per scoprirlo, consiglio di leggere il post “Jo March, per essere felice saresti dovuta restare sola?”

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